LA RAI, IL NUOVO CONTRATTO E I GIORNALISTI COME LA DEA KALI’

di Alessandro Gaeta *

Ridimensionare l’informazione Rai sembra essere ormai da anni il problema dei problemi della dirigenza dell’azienda concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. È un esercizio che, al di là di facili schematismi e del solito –irrisolto- conflitto di interessi, non ha colore politico. Ci si sono cimentati amministratori di destra e di sinistra, tutti con uno strabismo sospetto: guardano all’informazione e ai suoi costi, senza guardare a tutto quello che circonda le edizioni e gli approfondimenti dei telegiornali che costa molto ma molto di più. E soprattutto senza guardare ai guasti che proprio la politica -che dell’azienda è il governo ombra- ha fatto negli anni dell’Italia bipolare.

Facciamo l’esempio di Raiuno, che anche grazie al suo Tg1, è ancora il canale più visto dagli italiani: al telegiornale che, ogni giorno, copre in media un sesto della programmazione va un trentesimo delle centinaia di milioni di euro che la Rai spende ogni anno per la sua rete ammiraglia. E questo sebbene tutti gli amministratori Rai conoscano benissimo il valore degli introiti pubblicitari legati all’edizione del Tg1 delle 20.

Si può dire che l’informazione del servizio pubblico –trainata dagli ascolti milionari del Tg1- si auto-finanzia ma nonostante questo, quando si tratta di tagliare, è soprattutto nei confronti delle redazioni dei telegiornali e dei giornali radio che la dirigenza Rai impugna le forbici.

L’ultimo consiglio di amministrazione –quello che con il direttore generale Cappon ha appena concluso il suo mandato- ha provato –nel disinteresse generale- ad andarci giù pesante. Un’azione a tenaglia composta da due atti approvati tra l’autunno e l’inverno scorso: il piano industriale e il piano editoriale, entrambi deliberati senza alcun confronto con i sindacati e senza comunque aprire un dibattito –come è sempre avvenuto in passato- tra le “intelligenze” che lavorano a quella che è ancora la più importante azienda culturale di questo paese. Un abito cucito addosso all’informazione Rai di cui si conoscono a malapena i sarti ma non gli stilisti. Si tratta di un combinato disposto che impone non solo consistenti risparmi (e quindi di tagli: di personale? Di spese di produzione? Non si sa) ma delinea una profonda ristrutturazione dell’informazione Rai che è l’essenza del servizio pubblico e che resta la principale ragione dell’esistenza del canone.

Per il momento a rischiare il posto di lavoro, perché il piano industriale che è arrivato a definirne superflui il novanta per cento, sono i montatori che nell’arco di attuazione del piano dovrebbero essere sostituiti via, via da workstation affidate a giornalisti che, per la maggior parte, circondati da monitor, tastiere e avvolti nelle onde elettromagnetiche, non avrebbero più il tempo non solo per verificare le notizie ma nemmeno per andare al gabinetto.

Solo una piccola parte potrà uscire da queste gabbie dorate (in parte già succede: la direzione generale –senza che i nostri direttori battessero un colpo- ha chiesto nell’ottobre scorso la riduzione delle trasferte e gli effetti si sono visti) ma saranno giornalisti che assomiglieranno sempre di più alla dea Kalì: con una mano dovranno impugnare la telecamera, con l’altra il taccuino, sulle spalle la borsa con il portatile per montare le immagini e trasmettere il servizio…..e la penna o il microfono? Sembra la messa in pratica di quel giornalismo multimediale che gli editori –senza naturalmente distinguere tra televisione tradizionale o web tv- stanno cercando di imporre al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto.

Qualcuno dirà che corriamo troppo con la fantasia….eppure quel giornalista che piace tanto alla Fieg assomiglia molto a quello del laboratorio che ha messo in piedi la Rai (al tg2 stanno già buttando giù i muri per ricostruire la redazione sulla base di questo disegno) e credo che i vertici della Fnsi e tutti i giornalisti dovrebbero riservare maggior attenzione a quella che oltre ad essere una ristrutturazione mascherata dell’informazione Rai, appare come una vera e propria sperimentazione del giornalismo che verrà.

Lo scioglimento anticipato delle camere e il nuovo panorama politico uscito dalle elezioni di aprile hanno per il momento tagliato la strada a quei tecnocrati forse bravissimi a suddividere un bilancio ma che dell’informazione non sanno granchè ma come in tutte le aziende anche alla Rai i vertici cambiano ma le delibere (e i manager che le scrivono senza confrontarsi con la realtà) restano. E sarebbe meglio che tutti noi, e chi rappresenta i giornalisti nella trattativa per il nuovo contratto, ne tenessimo conto. * Giornalista Rai Tg1

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato


*