FONDO GIORNALISTI, PAGINA NERA: GLI EDITORI ELEGGONO COME DIRETTORE UN LORO COMPONENTE DEL CDA

di Corrado Chiominto *

Duro scontro tra editori e giornalisti al Fondo Pensione Complementare dei Giornalisti Italiani, il cui Cda è composto da sei giornalisti eletti dai colleghi e sei rappresentanti degli editori.

Questo Cda ha nominato direttore del Fondo l’attuario Franco Micocci, con i sei voti dei rappresentanti Fieg (compreso quello dello stesso Micocci, che ha votato se stesso) contro i sei voti dei giornalisti che avevano compattamente indicato un altro candidato. La differenza l’ha fatta il doppio voto attribuito al presidente del Cda, un rappresentante degli editori.

Noi giornalisti volevamo un direttore scelto sul mercato per le sue competenze e per la necessità di far fronte ai nuovi regolamenti. Una richiesta fatta perché siamo convinti che il Fondo, finora ben gestito, abbia bisogno di un cambiamento di passo, imposto dai tempi e dal contesto. Per questo abbiamo chiesto e ottenuto di avviare una selezione con un bando pubblico, al quale si sono presentati oltre venti candidati, alcuni di altissimo livello già ai vertici di altri istituti previdenziali.

Gli editori, con una certa disinvoltura rispetto ai criteri di “assenza di conflitti di interesse” previsti dal bando, hanno consentito la candidatura di un loro consigliere, l’attuario Marco Micocci, noto tra l’altro per aver fatto le proiezioni dei conti dell’Inpgi e del fondo per l’ex fissa. Inutili sono stati i dubbi e la contrarietà espressa in modo compatto, al di là delle diverse componenti sindacali, da tutti e sei i giornalisti eletti nel cda del Fondo che hanno tentato in ogni modo una mediazione.

Il risultato finale è che gli editori, spaccando il cda, hanno imposto nel ruolo di direttore generale un proprio consigliere con una procedura che in altri contesti sicuramente non sarebbe stata considerata normativamente corretta e che lascia comunque molti dubbi: senza alcun imbarazzo il neo direttore si è autovotato e poi il presidente del fondo, Alessandro Serrau – che per il principio dell’alternanza ha in questo mandato la guida dell’istituto – ha fatto valere doppio il proprio voto, come prevede una norma statutaria in caso di parità. E questo senza imbarazzo alcuno.

Gli editori avevano portato avanti la candidatura di Micocci già prima dell’avvio del bando e poi, a ogni passaggio, hanno fatto in modo di mantenerlo nella lista che via via selezionava i candidati. Nella short list gli altri candidati – lo avrebbe capito anche un bambino – vantavano requisiti professionali sicuramente di alto e maggiore livello.

Una cosa è guidare un fondo complementare o aver guidato un istituto previdenziale, un’altra è fare l’attuario. Tra l’altro gli altri candidati sarebbero stati utilizzati a tempo pieno per il nuovo ruolo mentre il neo-direttore è anche docente universitario e, ovviamente, ha la propria società attuariale da curare con attenzione: il tempo che dedicherà al Fondo dovrà certo tener conto anche di questi altri impegni.

Ma si tratta per il fondo complementare di una pagina nera anche per altri motivi. Nonostante gli editori, con una certa sfacciataggine visto quel che è accaduto, abbiano presentato la loro scelta di Micocci fuori dalle logiche della politica sindacale, hanno di fatto portato avanti imperterriti la loro decisione senza ascoltare l’appello, che io per primo ho fatto almeno in tre consigli di amministrazione, per la ricerca di una scelta condivisa.

Lo stesso presidente Serrau, dimentico del fatto di aver rinviato di Cda in Cda la scelta e del fatto che tutti sappiamo che la scelta di Micocci parte dai vertici della Fieg, ha parlato di pantomima. Forse è stato un lapsus. Ma è grave soprattutto lo strappo fatto ai criteri sostanziali che governano il Fondo. Lo statuto impone un equilibrio tra le parti – sei consiglieri dei giornalisti e sei degli editori – equilibrio che di fatto ora viene snaturato.

Non solo: non si è tenuto nel debito conto che il fondo – con i suoi 660 milioni gestiti – rappresenta il tesoretto della pensione complementare dei giornalisti. Si tratta di soldi dei giornalisti e non degli editori, accumulati in base al contratto e in molti casi con contribuzioni volontarie. La forzatura che sfiora l’arroganza messa in questa partita mette invece una pietra sul costruttivo dialogo tra le parti, un dialogo necessario per un presidio così importante per il welfare dei giornalisti italiani, soprattutto in un momento in cui la crisi investe il settore e i conti dell’Inpgi traballano.

Per questo, insieme agli altri colleghi eletti in cda, non abbasserò la guardia mantenendo il mio impegno a tutela del futuro dei giornalisti. Di certo al nuovo direttore spetterà ora il compito di dimostrare di essere al servizio dei fruitori del fondo che, spero non dimentichi, sono i giornalisti.

* Consiglio di amministrazione del Fondo giornalisti, Puntoeacapo

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