SALVIAMO LA PREVIDENZA, QUANDO TRE FIRME SPIEGARONO PERCHÉ ADERIRE ALL’APPELLO A MATTARELLA

Vittorio Emiliani

di Paola Cascella

I giornalisti ci sono, e hanno fatto sentire la loro voce. Non succede spesso, anche per colpa nostra, certo va detto. Ma stavolta qualcosa si è mosso, e a muoverla in modo formidabile, sono stati gli stessi protagonisti della vicenda, i giornalisti.

Perché, sembra una contraddizione, e probabilmente lo è, ma proprio quelli che per mestiere sono abituati a dare voce agli altri, raramente sono capaci di prendersi cura dei propri problemi, fare opinione e trovare solidarietà per le proprie vertenze, i propri diritti, i propri precari pagati cinque euro al pezzo, il proprio futuro che coincide con la parola previdenza, ovvero 242 milioni di rosso accumulati dall’Inpgi, soprattutto in questi ultimi dieci anni, con grave rischio per le pensioni dei vecchi e dei giovani.

Da dicembre scorso, il comitato “Salviamo la previdenza”, fatto di giornalisti qualunque, ha trovato ascolto e condivisione, oltre a raccogliere migliaia di firme di colleghi illustri e sconosciuti di testate diverse e di diverso orientamento politico, firme che si sono tradotte in un appello (ascoltato) al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Perché, dichiara in un’intervista a Puntoeacapo Sandra Zampa, giornalista, all’epoca sottosegretaria alla Salute, “non si può far pagare il dramma dell’Inpgi ai giornalisti”. Bisogna mettere l’Istituto in sicurezza “in via definitiva (…) combattere il precariato che penalizza la vita di ciascuno e poi un intero settore, un’intera categoria, l’Istituto di previdenza e la qualità dell’informazione. L’Inpgi dovrebbe moltiplicare le verifiche e le ispezioni (…). Bisogna agire anche sugli editori, vigilando sui prepensionamenti, sul precariato e sui nuovi contratti”. Un’operazione a 360 gradi. Intanto però l’Inpgi brucia. E allora? “Vedrei la garanzia pubblica delle prestazioni necessaria e indispensabile”.

Tra le firme nobili del nostro appello anche quella di Vittorio Emiliani, ex direttore del Messaggero, ex consigliere di amministrazione Rai e sindacalista della categoria. In un’intervista a Stefania Conti individua le gravi colpe del sindacato: “Negli anni in cui il sindacato era forte, parallelamente l’Inpgi aveva una gestione sana, florida. L’INPS ci voleva dentro, per prendersi i nostri soldi (…). La stagione d’oro finisce nei primi anni 90. Entriamo in una fase in cui anche per il giornalismo arriva una maggiore disponibilità a piegarsi alla volontà del padrone (…). Penso ai contratti fatti negli ultimi anni sempre più condiscendenti. Inoltre negli anni migliori gli amministratori dell’Inpgi percepivano remunerazioni decisamente modeste, mentre oggi guadagnano quanto un dirigente di una grande società privata, e come sindacalisti lavoravamo gratis o con rimborsi molto contenuti”.

Anche Giorgio Balzoni segretario dell’Usigrai fino al ‘96 ha firmato il nostro appello. “Doveroso”, afferma in un’intervista a Puntoeacapo. “La situazione è grave, come prima non è mai stata (…). Ho la sensazione che i vertici dell’Inpgi, non solo quelli di oggi, ma anche quelli degli ultimi tempi, non abbiano avuto lungimiranza, non sono stati capaci di guardare al futuro e a come far fronte alla crisi che ci ha investito. Ho avuto rapporti diretti con alcuni di quelli attuali che chiaramente non si rendevano conto di cosa stava accadendo”. Le false crisi editoriali dal 2009 in poi? “Si doveva controllare meglio. Lo doveva fare il sindacato, lo doveva fare l’Inpgi. Gli editori non hanno ristrutturato. Il governo ora deve fare la sua parte. Se hanno coperto le false crisi dei giornali, oggi devono, come si suol dire, pagare il conto. E questo all’Inpgi dovevano tenerlo presente fin dall’inizio”.

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